Maurizio Ongaro: Tutto viene a chi sa aspettare.

 

Tutto viene a chi sa aspettare.

 

Questa frasetta mi ricorda mio nipote Jurij, che adesso ha sei anni.

Qualche tempo fa, non ricordo esattamente quando, in un pomeriggio di ferie andai a prenderlo dalla scuola materna per portarlo a ginnastica. Codesti bimbetti milanesi hanno più impegni di un neurochirurgo. Tra la scuola e la ginnastica vi era una “finestra” di un’oretta. Passammo quindi da una piazza vicino a casa mia in cui vi era un trenino per i bimbi. Non capisco nemmeno perché quel trenino sia là, in una piazzetta di periferia; son cose che generalmente trovo nei grandi parchi o durante le manifestazioni. E’ mosso da una luccicante locomotiva (con motore a scoppio) e traina qualche vagone.

In quel pomeriggio eravamo gli unici clienti. Comprai il biglietto, anzi una specie di abbonamento; con mille lire in più Jurij avrebbe fatti tre giri. Il problema però era che Jurij sarebbe stato l’unico passeggero, inficiando qualunque beneficio economico al povero gestore. Muovere tutto l’ambaradan per un solo bimbo era antieconomico! (Quanto è milanese codesto discorso, eh?)

Allora presi atto della richiesta del gestore (fatta con gentilezza ed educazione) e ci mettemmo da parte, su di una panchina, in attesa di qualche altro “passeggero”.

Fu difficile spiegare ad un bimbo di sei anni perché non si poteva salire SUBITO sul trenino. Era là, luccicante, invitante, vuoto. E lui DOVEVA stare a terra. Eppure aveva “diritto” a salirci.

E non potevo mettermi a digredire con Jurij su tutte quelle valutazioni economiche tali per cui così facendo i costi di gestione sarebbero stati di gran lunga superiori ai ricavi. Non mi parve il caso di ammorbarlo con considerazioni di tipo economico-gestionale innanzi tempo: vista la città dove abita avrà tutta la vita per approfondire (magari sulla sua pelle) questo fondamentale concetto che va sotto il motto di “Almeno che le entrate superino le spese”.

E così, cercando di distrarlo dalla vista dell’imponente e luccicante locomotiva, lo intrattenni con un breve discorsetto, pronunciato con voce dolce. Gli dicevo che di lì a tra poco sarebbero arrivati altri bimbi e così il trenino sarebbe partito.

Non avevo fatto mente locale sul fatto che per i bimbi i concetti temporali latitano ancora, ovvero che il significato di “fra un po’” non essendo quantificabile, è di difficile comprensione.

E così, anche per troncare una discussione che poteva arrivare ai massimi sistemi (tempo, spazio, universo, che ci stiamo a fare noi, dove stiamo andando, Dio esiste? etc. etc.) gli dissi, con tono serioso e compunto: “Non ti preoccupare Jurij, salirai su quel treno: Tutto arriva a chi sa aspettare”.

Come è giusto che sia poco dopo (un’eternità sarà parsa a Jurij, pochi minuti per gli affaccendati adulti) è arrivata una famigliola ed il treno si è apprestato a partire: non avrebbe viaggiato al completo, ma almeno non avrebbe girato con un sol passeggero.

Ed il gestore, memore della pazienza avuta dal bimbo, ha fatto sì che potesse afferrare il pallone con il fiocco, ambito premio d’abilità messo in palio ad ogni giro che consente di poter effettuare un altro giro gratis.

Ammettiamolo, contrariamente alla parabole per i bimbi, nella vita non sempre va così.

Però ci ho tenuto a far si che Jurij assimilasse questo piccolo concetto; purtroppo lo ha assimilato benissimo e con successo, perché ogni qual volta ho a che fare con lui me lo ributta in faccia; garbatamente.

«Jurij… Dai! È tardi, è ora di andare a casa, smetti di giocare con i tuoi amichetti ed andiamo a casa, quanto tempo debbo ancora aspettare?»

«Lasciami giocare ancora un po’… Tutto viene a chi sa aspettare, zio!»

 

Maurizio Ongaro: Tutto viene a chi sa aspettare.

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